C’è differenza fra creatività e capacità di creare?
La creatività mi pare un istinto naturale, un dispositivo biologico connesso alla variabilità della specie. Ogni individuo che nasce è portatore di una singolarità che imprime la sua impronta nella realtà e la trasforma.
Se le condizioni di vita lo consentono, se l’istinto è libero di agire.
Normalmente questo istinto è imprigionato o può esprimersi nelle forme già date. La scuola, la famiglia, le agenzie educative tendono tradizionalmente a svolgere questo ruolo. Incanalano le energie creative nelle forme consentite.
Le donne sono le più mortificate perché possono incanalare le loro energie creative solo nell’ordine dato, che è di matrice maschile, o nell’ambito domestico, cucina, casa, cura dove agisce una matrice femminile.
Creare invece significa dar vita all’inedito, a qualcosa di imprevisto nell’ordine dato.
La Genesi è un’opera di creazione che la tradizione cristiana attribuisce a Dio. Il Creatore crea dal nulla tutte le cose, inanimate e animate, nel giro di sette giorni.
Questo modello definisce un ordine di creazione caratterizzato da una propria forma e un proprio ritmo. Il creato nasce come emanazione della volontà divina che opera nel giro di un breve lasso di tempo. Sette giorni.
Le donne fanno esperienza di una forma e di un ritmo diverso nella creazione. Il loro creato nasce dall’interno e l’opera della creazione ha la forma e il ritmo della gestazione. Sarà Dio a suggerire questa forma alla Crostarosa nel suo travaglio dell’Opera.
Una donna tende a portare alla luce ciò che concepisce al suo interno e che matura nel silenzio e nell’oscurità della gestazione. Prende atto del frutto del suo concepimento solo quando viene alla luce.
Ma il portare alla luce è per le donne la più difficile delle creazioni perché significa tradurre in senso ciò che in pratica operano, la loro realtà. Quando questo pezzo d’opera non riesce, l’opera stessa abortisce, perché non viene più alla luce. La gran parte dei gruppi di donne che hanno operato negli anni settanta è finita nell’oblio perché le pratiche le parole i discorsi che avevano generato non hanno avuto la forza di tradursi in senso, in esistenza simbolica.
Ricordo che mi svegliavo d’improvviso la mattina, quando era ancora buio, e ciò che nell’addormentarmi era ancora confuso e disordinato appariva come formato, messo in ordine, come se la notte e il sonno avessero lavorato al mio posto per dar forma all’informe, ai frammenti sparsi del pensiero. Gravida di me correvo al computer e scrivevo, scrivevo finché non partorivo l’oggetto tutto intero. Allora mi fermavo, come sgravata. Esausta ma felice. Mi ero liberata del frutto del mio concepimento e potevo guardarlo dall’esterno.
Mariagrazia Napolitano
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