Ci sono segni nel mondo di un ammalarsi della vita.

Sempre più giovani si ammalano di malattie molto gravi, sempre di più si abbassa la soglia di età di chi si ammala di tumori. Ora anche bambini al di sotto dei dieci anni affrontano cure chemioterapiche. Gli esperti di tumori osservano l’incremento del fenomeno con allarme, soprattutto perché colpisce vite giovanissime.

All’interno di questo quadro generale, che spesso giustifichiamo con l’avvento di cibi e prodotti dovuti a trattamenti chimici, o con l’aumento di radiazioni ad alte frequenze, o con l’inquinamento atmosferico ad opera di sostanze tossiche o radioattive (vedi il riferimento a Cernobyl) colpisce l’aumento della mortalità delle giovani ragazze. Donne di venti o trenta anni lottano coraggiosamente per strapparsi alla morte lasciandosi mutilare anche parti estese del proprio corpo.

Dietro la vita di alcune di queste giovanissime donne alle prese con la morte si profila un elemento inquietante, l’assenza delle madri.

Chi ci da la vita è la madre, questa è una verità incontrovertibile.

Ma anche ci trattiene nella vita, chi impedisce alla morte di rapirci è una madre.

Nella vita si entra attraversa il corpo della madre e dalla vita si esce attraverso la contemplazione di uno sguardo materno.

C’è un collegamento fra la perdita di vita e l’assenza delle madri nel mondo?

Alcune di queste giovanissime donne attribuiscono alla madre la loro malattia.

E’ solo il segno di un conflitto estremo madre/figlia che porta a caricare sul conto della madre il costo della vita di una figlia?

Riconoscere nella madre l’agente primo della malattia è solo il segno di una ritorsione da parte di chi si vede strappata alla vita troppo precocemente, ancora nel pieno dei suoi rancori?

Cosa fare di queste denunce estreme?

Minimizzarle, considerandole solo eccessi di fantasia giovanile?

O offrir loro l’ascolto che si riserva almeno alla confessione dell’ultima ora?

Perché comunque si osserva l’assenza delle madri accanto al letto di dolore di queste figlie?

Quale è la verità che loro non sono disposte a guardare?

Quale è la verità a cui noi ci rifiutiamo di accedere?

Può aiutarci ad accogliere una verità estrema ritornare sui passi di un mistero centrale della fede: il mistero della nascita divina?

Cosa ci fa contemplare il mistero della nascita del bambino divino?

Questo avvento ha inizio con il si di Maria.

Anzi.

Prima con l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele.

Come contemplare la verità di questo mistero divino?

Perché nel registro del sacro viene inscritto il si di Maria?

Perché viene inscritto questo si fra i misteri della fede?

Il si di Maria, che nella vita umana rappresenta il si di una madre, perché è un dettaglio così misterico per la nascita della vita?

E’ possibile che la vita abbia inizio senza quel si?

Quando nella vita umana una donna lo pronuncia? A chi? Come?

E’ a partire da quel si che una donna inizia la sua attesa?

Cosa significa attendere?

Cosa attende una donna in attesa?

Quanto questa attesa accompagna con la mente il corpo che si prepara alla nascita della creatura?

E’ possibile far nascere senza essere in attesa?

E’ un dispositivo naturale l’utero psichico che l’immaginario dell’attesa offre alla diade madre/creatura?

E’ possibile saltare anche solo uno di questi dettagli contemplati dalla fede senza offendere la vita che viene alla luce?

Può venire alla luce una vita già predestinata per un semplice errore misterico?

Domande che chiedono una risposta che la scienza non sa trovare.

Perché vite sempre più giovani si interrompono prima dell’età riproduttiva?

Che ne sarà allora della catena della vita?

Chi o cosa la condurrà in avanti?

Saranno gli uteri in affitto?

Quanto così procedendo l’avvento della nascita perderà tutti gli elementi del mistero che rendono sacra la vita?

La scomparsa delle madri

Se una donna genera perché rimane incinta o perché si sposa o perché sente il bisogno del potere materno, vuol dire che ha detto si alla creatura che mette al mondo?

Cosa significa per noi dire si?

Quanta trascendenza chiede ad una donna il semplice dire si alla nascita della creatura?

Quante donne arrivano a generare trascendendo se stesse per far posto all’altro?

Può una donna trascendere se stessa senza essersi incontrata, senza aver detto il primo si a se stessa?

A volte capita che una donna rimanga incinta proprio quando ha inizio l’incontro con se stessa.

E allora inizia una gravidanza a due perché rimane incinta di se e dell’altro da se. E può capitare che diventi più sorella che madre della creatura, che contenderà alla creatura spazi e tempi, sguardo e attenzione.

Lei è madre, ma solo nel tempo e nello spazio riservato alla cura della creatura. Uno spazio/tempo che viene ridotto sempre più all’essenziale.

E lì che nasce il primo gemito di sofferenza della vita nuova?

E’ lì che la creatura inizia a registrare una mancanza, un vuoto, un’assenza?

A volte capita che quel vuoto venga occupato dai padri.

A volte divinamente. A volte umanamente, con tutti i limiti della umanità paterna.

La scomparsa della madre non è senza conseguenze.

Come l’eccesso di una presenza turbata dalla volontà di potenza.

A che punto della crescita il difetto o l’eccesso di madre si traduce in danno?

A che punto il danno diventa irreparabile?

Winnicott ha dedicato tutta la sua vita allo studio della diade madre/figlio.

Come poi Melaine Klein.

Perché una vita intera di menti eccelse è servita a tentare di decodificare il mistero della vita che la contemplazione sacra ha dipinto con poche pennellate?

Né Winnicott né M. Klein hanno colto la portata del mistero del si di Maria.

Winnicott aveva capito che alla vita di una creatura necessita una madre sufficientemente buona e la Klein aveva scoperto che le radici di questa bontà agiscono già nella vita fetale.

Ma entrambi sono stati disattenti rispetto ad un dettaglio del mistero che appare ovvio: il si di Maria.

Nessuno di loro aveva capito che alla vita necessità il si della Madre.

E’ da lì che la vita si genera sana o non sana. E da questo si, dato incautamente per ovvio, che la vita si inscrive o no nel registro del sacro. Dell’inviolabilità.

E’ questa inscrizione che contende alla morte la vita.

Ed è una iscrizione che solo la Madre può fare.

Così dice e contempla il mistero della vita.

L’iscrizione della vita nel sacro

Cosa significa allora iscrivere la vita nel registro del sacro?

Perché sia sacra una vita ha da essere contemplata.

Perché abbia inizio una vita piena, sana, dotata di salute materiale e spirituale, ha da essere contemplata dalla madre.

Deve stare nello sguardo della madre.

La nostra epoca ha visto una intera generazione di donne spostare lo sguardo su di sé proprio mentre la vita dell’altro veniva alla luce.

Una intera generazione di figli e figlie sembra portare il segno di quella distrazione.

Questo difetto di maternità dovuto alla distrazione si somma al difetto di maternità dovuto alla incapacità delle donne a diventare madri, a fare un passo indietro per far posto all’altro.

Diventare madre è l’esito di un percorso di trascendenza femminile.

La trascendenza è inscritta già nel corpo delle donne dalla vita naturale.

Quando una donna rimane incinta il suo sistema immunitario cede le armi, abbassa la difesa immunitaria per evitare di aggredire l’altro da sé.

Questa capacità naturale di cui la natura dota le donne di “pensare” alla vita dell’altro prima ancora che alla propria, fa della trascendenza femminile una esperienza del tutto naturale.

Ma sempre più donne diventano dimentiche di questo compito “sacro” che la natura le assegna.

Prese da tormenti nuovi, del tutto inediti per la vita femminile, come il lavoro il successo il potere, diventano dimentiche della potenza straordinaria inscritta nel proprio corpo.

Nella loro mente, affollata da nuove imprese, non c’è posto per far posto all’altro.

La trascendenza inscritta nell’essere donna viene scalzata dalle passioni egoiche che riducono la potenza femminile.

La perdita del sacro

Le donne continuano a generare ma perdono l’accesso al mistero sacro della vita.

La vita è un mistero.

A cui solo uno sguardo contemplativo accede.

E’ questa capacità contemplativa che la modernità ha ridotto.

Come?

Attraverso l’esercizio del laicismo, dello scientismo, dello psicologismo, dello spiritualismo, di ogni forma di deterioramento dell’approccio alla realtà.

Sono alcune possibili risposte.

Ad una donna basta contemplare per vedere ciò che non si vede.

Per ascoltare ciò che un corpo dice.

Per entrare in connessione con la lingua e il pensiero della vita.

La perdita di questa connessione segnale il dominio della cultura sulla natura.

Un dominio che seduce le donne e le porta a scambiare la propria potenza naturale con il potere culturale, nelle sue molteplici forme.

Uno scambio perdente per le donne che rinunciano ad una grandezza autentica per una illusione di grandezza.

Una sorta di svendita del patrimonio aureo femminile.

Una grande perdita ……………..sul piano dell’economia della vita.

Una perdita secca che il mercato della vita ci sta segnalando.

Segnali che sta a noi cogliere facendoci largo nella foresta di segni che la realtà ci mostra.

Mariagrazia Napolitano